Beppe Grillo ha abbandonato il ruolo di garante per ricoprire quello di capo politico del Movimento 5 Stelle. In pratica cambia poco, Grillo ha agito da capo nelle recenti vicende romane. In teoria tra le due figure c’è invece una profonda differenza: il garante assicura il rispetto della volontà altrui, il capo esprime la propria volontà. Grillo non ha parlato di volontà ma di decisioni, dicendo che d’ora in poi le prenderà in prima persona e che intende guidare il Movimento fino alle prossime elezioni.
Viene così a mancare una delle caratteristiche principali del Movimento 5 Stelle: la presenza di un leader reso autorevole dal suo porsi al di sopra delle parti; un leader che non prendendo decisioni non può sbagliare; non è costretto ad ammettere gli errori e, cosa più importante, a difendere le scelte sbagliate.
Nel panorama politico attuale, il ruolo di leader-fondatore non candidato alla presidenza del consiglio, di Grillo è molto simile a quello di Silvio Berlusconi in Forza Italia. Non stupisce pertanto che lo stesso Berlusconi si sia detto interessato alla proposta di proporzionale avanzata nei giorni scorsi dai 5 stelle.
Il proporzionale è infatti un sistema che porta solitamente a governi di coalizione, in cui sono i leader dei partiti a decidere, in base ai risultati elettorali, chi dovrà guidare il governo. Era questa la prassi fino all’entrata in campo dello stesso Berlusconi, quando si è presa l’abitudine d’indicare in anticipo, con tanto di nome sulla scheda elettorale, il candidato premier.
L’altro modello è quello del Pd di Matteo Renzi, in cui chi vince le primarie diventa segretario ed è automaticamente candidato alla Presidenza del consiglio. Su quest’ultimo modello è stato disegnato l’Italicum: un sistema elettorale che attraverso un ampio premio di maggioranza assicura al partito che vince di andare al governo col suo candidato premier.
In questo modo il capo del governo non deve temere il capo del partito, mentre nel caso di Forza Italia e dei 5 stelle è chiaro che l’eventuale primo ministro dovrebbe rispondere del suo operato al leader-fondatore (così come pare abbia fatto la sindaca di Roma nel dire no alle olimpiadi).
Entrambi i modelli sono legittimi. Quello incarnato da Matteo Renzi è però indissolubilmente legato all’approvazione della riforma costituzionale e, soprattutto, al premio di maggioranza per il partito previsto dall’Italicum.
Per Renzi la vittoria del no al referendum non sarebbe un dramma, ma se dovesse cedere sulla legge elettorale perderebbe la possibilità di rimarcare la differenza fra lui e gli altri candidati premier: non potrebbe dire “io rispondo solo agli italiani mentre gli altri rispondono al loro capo-partito”.
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