La “patente europea” del M5Stelle

Guy Verhofstadt ha bisogno di voti per diventare  Presidente del Parlamento europeo. Il MoVimento 5 Stelle ha bisogno di una sorta di patente europea, di una legittimazione, di un riconoscimento come forza di governo e non più anti-sistema, in vista delle prossime elezioni che si aspetta di vincere.

Data questa convergenza d’interessi, a qualcuno è sembrato naturale l’ingresso degli europarlamentari grillini nel gruppo dell’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa (ALDE), capitanato dallo stesso Verhofstadt. Far parte di un gruppo al quale hanno aderito Mario Monti e Romano Prodi rende infatti meno “impresentabili” agli occhi delle gerarchie europee: specie rispetto al farsi vedere in compagnia di Nigel Farange (che tra l’altro, come dice Grillo, una volta ottenuta la Brexit con l’Unione europea non ha più niente da spartire).

Essendo imminente l’elezione del nuovo Presidente del Parlamento europeo non c’era tempo da perdere. La votazione online su questa decisione strategica è stata convocata immediatamente e chiusa appena il giorno dopo. Fin qui la cronaca, passiamo ora alla teoria che, quando si parla del MoVimento 5 stelle verte inevitabilmente sulla democrazia diretta, in quanto elemento che dovrebbe distinguerlo dalle altre formazioni politiche, organizzate sulla base del principio di rappresentanza.

In questo caso, le critiche di alcuni commentatori e di parte dei militanti più fedeli all’idea dell’uno vale uno si sono concentrate sul fatto che, 4 giorni prima della votazione online, fosse già stato siglato un accordo per l’adesione del MoVimento all’ALDE, e sul fatto che solo 31mila su 135mila iscritti abbiano votato a favore di tale passaggio. In altre parole, i principi della democrazia diretta sarebbero stati stravolti e piegati a uso e consumo di decisioni già prese dai vertici.

A tal proposito va detto che, per quanto la decisione sia stata chiaramente adottata ai piani alti della creatura politica targata Grillo-Casaleggio, ne è stata comunque chiesta la ratifica alla base, che ha dunque avuto l’ultima parola. Non sembra nemmeno corretto imputare ai vertici la percentuale  non oceanica dei partecipanti. Uno dei presupposti della democrazia è infatti quello per cui chi non partecipa subisce le decisioni della maggioranza. Chi è causa del suo male pianga se stesso (o vada da Salvini), potrebbe rispondere Grillo.

Va però ricordato che non è nemmeno del tutto sbagliato imputare ai vertici la disaffezione degli iscritti. Si può infatti pensare che molti abbiano smesso di votare online perché pensano che le decisioni vengono comunque prese altrove. Sotto questo aspetto non si può trascurare l’importanza ricoperta dalla trasformazione della figura e del ruolo di Beppe Grillo: da Garante a Capo politico. Un Garante si mette al servizio della volontà degli iscritti, un Capo politico si batte per affermare la propria volontà anche nei confronti degli iscritti, ai quali non resta che continuare a seguirlo o decidere di abbandonarlo.