Sul Codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie in questi giorni si è detto e scritto di tutto. Altrettanto spazio ha avuto la proposta di una giuria popolare per le balle dei media, che però, non essendo tecnicamente realizzabile, è destinata a cadere nel vuoto (ben più interessante è invece la discussione sulla post-verità, alla quale Beppe Grillo ha preso parte trovando il sostegno, tra gli altri, del liberale Nicola Porro).
Il MoVimento sta dunque monopolizzando la discussione politica italiana, intervenendo tramite il suo Capo politico su temi di fondamentale importanza, come quelli della libertà e qualità dell’informazione e del rapporto tra politica e magistratura.
Per quanto riguarda la libertà e la qualità dell’informazione non c’è niente di nuovo. A tal proposito è sufficiente ricordare le parole di Gianroberto Casaleggio (8 settembre 2013): “Al Forum di Ambrosetti ho detto che i giornali e le televisioni sono gli strumenti del potere in Italia. Lo ribadisco. A una domanda sul mio ottimismo, ritenuto eccessivo, sulla democrazia diretta, ho risposto che la diffusione dell’informazione grazie a internet renderà possibile la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e la diffusione di strumenti di democrazia diretta”.
Poche le novità anche per quanto riguarda il rapporto tra magistratura e politica. Innanzitutto va detto che, ai sensi dell’art. 4 del Codice di comportamento: “Il Garante (Beppe Grillo, Nda) del MoVimento 5 Stelle, il Collegio dei Probiviri o il Comitato d’Appello, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del MoVimento 5 Stelle, valutano la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”.
A tal proposito sorprende di come qualcuno ancora si sorprenda, del fatto che all’interno del MoVimento l’ultima parola spetti sempre e comunque a Beppe Grillo (per ragioni di spazio è meglio rinviare ogni considerazione su questo aspetto del MoVimento). In questo caso, perfino a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale, si può decretare l’espulsione dal MoVimento, il che, a livello generale, si traduce in un passo verso l’autonomia della politica nei confronti della magistratura (sui comportamenti incompatibili con lo spirito del MoVimento decide il MoVimento e non il giudice).
Nella stessa direzione si può leggere l’ultimo comma dello stesso art. 4, che, di fatto, introduce quella che si potrebbe definire come “causa di giustificazione politica”: “E’ sempre rimessa alla discrezionalità del Garante e del Collegio dei Probiviri o del Comitato d’appello (e non comporta alcuna automatica presunzione in tal senso) la valutazione della gravità di fatti che configurano i c.d. reati d’opinione ipotesi di reato concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, ovvero di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale”. In questo caso, infatti, anche in presenza di reati il Garante può decidere di “perdonare” il portavoce che abbia agito per motivi “nobili”, il che significa affermare ulteriormente le ragioni della politica su quelle della legge (lo stesso Grillo è stato recentemente condannato per un’azione di protesta contro la Tav).
Dispiace pertanto che, eccettuate le ipotesi appena viste, sia: “considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del MoVimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo”. Sarebbe stato infatti più coerente con lo spirito democratico del MoVimento ricondurre anche queste ipotesi al principio generale, per cui ogni decisione spetta al Garante senza alcun automatismo.
Bisogna infatti ricordare che in base al Codice di comportamento si può essere espulsi dal MoVimento ma non si decade dalla carica pubblica ricoperta. Si è detto che queste norme sono state scritte in previsione di un avviso di garanzia nei confronti di Virginia Raggi, la quale potrebbe però governare Roma anche senza far più parte del MoVimento. Sotto questo profilo il Codice è del tutto superfluo, perché le cause d’incompatibilità e di ineleggibilità sono disciplinate dalla legge. Legge che, per fortuna, continua in buona parte a rispettare il principio costituzionale della presunzione d’innocenza fino a sentenza di condanna definitiva, non solo di primo grado. In tempi in cui, come nel caso Garlasco, non si è più certi nemmeno delle sentenze definitive, sarebbe il caso di ricordarsene, prima di espellere qualcuno in base a una decisione altrui che potrebbe essere sbagliata.