Il dibattito sulla riforma costituzionale

Ieri sera, su La7, Enrico Mentana ha ospitato il confronto Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky sul tema del referendum costituzionale (lo si può rivedere cliccando su questo link). Per lunghi tratti, più che a un dibattito tra le ragioni del Si e quelle del No è sembrato di assistere all’incontro-scontro tra due mondi che si detestano cordialmente. Ci sono stati, infatti, diversi momenti in cui i due ospiti non si potevano – forse nemmeno si volevano – capire, perché parlavano due lingue diverse.

Renzi ha mostrato la strategia della campagna per il Sì: non concentrare l’attenzione sugli aspetti tecnici della riforma ma sul quesito referendario. Di fronte al suo interlocutore, che sosteneva l’opportunità di bocciare questa riforma per proporne una migliore, Renzi ha avuto infatti buon gioco nel dire che il 4 dicembre si vota Si o No a questa legge, e che non c’è spazio per ipotesi alternative. Pertanto, secondo il Presidente del consiglio: chi vuole eliminare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, i costi della politica, e via rottamando, deve votare Sì; chi non vuole modificare la costituzione vigente deve votare No.

Sotto il profilo formale il discorso di Matteo Renzi è corretto. Non a caso Zagrebelsky cercava di spiegare come, dal suo punto di vista, la forma sia meno importante della sostanza (inutile confezionare un abito meraviglioso se chi lo deve indossare ha un corpo deforme) ed è qui che si è capito che i due parlavano lingue diverse.

Come sa bene chi ha letto i libri di Zagrebelsky – il diritto mite in particolare – per il Professore torinese il testo della legge rappresenta soltanto una parte – e nemmeno la più importante – di un diritto che deve garantire la giustizia.

La giustizia è però, in estrema sintesi, l’idea di ognuno di noi su cosa sia giusto o sbagliato. Mettendo insieme questi due elementi, l’idea soggettiva di giustizia e il testo oggettivo della legge, si ottiene il diritto. Il testo scritto rappresenta dunque solo un limite per il lettore, che non potrà leggere bianco dove c’è scritto nero ma potrà comunque, nei limiti del possibile, “piegare” la legge al suo ideale di giustizia. Dietro questa discrezionalità si nasconde il potere.

La deriva autoritaria, di cui ha detto di aver paura Zagrebelsky, si può riassumere nell’idea che, per effetto della riforma (inclusa la nuova legge elettorale) si riunisca nelle stesse mani il potere di scrivere le norme e quello di interpretarle, ossia leggerle per applicarle. É infatti quest’ultimo potere che Renzi vuole attribuire a chi vince le elezioni. Mentre per Zagrebelsky il popolo ha diritto di eleggere chi dovrà scrivere delle leggi che anche il governo deve rispettare, per Renzi il popolo ha il diritto di scegliere un governo che governa, dettando le leggi al Parlamento e pretendendone il rispetto da parte di tutti gli organi dello Stato.

L’esempio della discarica, fatto da Zagrebelsky più o meno a un’ora e mezza dall’inizio del dibattito, permette di chiarire  questo aspetto. Com’è noto, le scorie prodotte dalle vecchie centrali nucleari italiane attendono, ormai da parecchi anni, che venga scelto il sito che le dovrà ospitare per i prossimi millenni. Questa scelta è stata finora bloccata da una miriade di pesi e contrappesi, che hanno impedito ai governi di turno d’imporre la loro volontà sulle autonomie territoriali. La riforma semplificherà questo processo, per la gioia di chi oggi le ospita in via “provvisoria” e per la disperazione di chi se le vedrà appioppare in via definitiva.

Tutto questo si può ricondurre al discorso sulla giustizia. Per qualcuno è “giusto” che le scorie vadano in una delle regioni che hanno ospitato le centrali che le hanno prodotte (traendone i relativi benefici), per altri è “giusto” che vadano nel posto più sicuro possibile, a prescindere da dove sono state prodotte, per altri può essere “giusto” che la comunità che le deve ospitare venga risarcita in qualche modo e via dicendo. Con la riforma l’unica opinione che varrà davvero qualcosa sarà quella del governo nazionale, che attivando la clausola di supremazia potrà superare le resistenze delle comunità locali nel modo descritto da Zagrebelsky.

D’altro canto, attraverso queste procedure semplificate si potranno prendere anche decisioni più condivise, al momento ugualmente bloccate da lungaggini burocratiche di vario tipo. A tal proposito, chi è contrario alla riforma potrebbe dire che, se il problema è di natura burocratica, sarebbe più utile intervenire sulla burocrazia, compresa quella giudiziaria, che sulla costituzione. I sostenitori del Sì potrebbero però replicare che soltanto l’approvazione della riforma potrà dare al governo gli strumenti per “sbloccare” l’apparato amministrativo.

Un’altra conferma di come l’aspetto centrale della riforma sia quello del potere. In definitiva il quesito referendario si potrebbe riassumere così: volete dare maggiori poteri a chi vince le elezioni pur sapendo che potrebbe prendere decisioni che non vi piacciono?