Ragioni e distorsioni del bicameralismo italiano

Secondo Roger Abravanel andrebbero spiegate meglio ragioni del Sì alla riforma costituzionale. Tra queste  vi sarebbe la maggiore legittimazione del Parlamento.

Sostiene Abravanel: “L’eliminazione del bicameralismo paritario «perfetto» ( il termine esiste solo da noi ) prevista dalla riforma non rende solo la macchina legislativa più efficace ,ma soprattutto evita il rischio di cui l’accusano i suoi detrattori, ovvero l’ulteriore indebolimento della democrazia parlamentare. Una sola camera con una maggioranza parlamentare «forte» (grazie all’Italicum) rappresenta un «contrappeso» molto più forte di due camere con maggioranze ottenute con «inciuci» e 20 assemblee regionali.È’ vero che sarebbe composta da parlamentari dello stesso partito del premier ma nel Regno Unito dove c’è una sola vera camera perché i lord contano pochissimo, la maggioranza conservatrice ha sostituito i conservatori Thatcher e Cameron”.

Sembra opportuno spendere qualche parola su questo ragionamento, e sul perché tale prospettiva non sembri appartenere agli orizzonti della riforma.

Innanzitutto, va detto che quello previsto dal sistema vigente non è un bicameralismo paritario. La Costituzione presuppone una diversa legittimazione per Camera e Senato che pertanto, pur facendo le stesse cose, dovrebbero rappresentare punti di vista diversi. I deputati dovrebbero farsi portavoce, in ambito nazionale, delle posizioni del partito d’appartenenza, mentre i senatori dovrebbero rappresentare i territori di provenienza.

La distorsione ideologica del Secondo dopoguerra ha fatto in modo che le ragioni del partito finissero per assorbire quelle dei territori: di cui non a caso si è ripreso a parlare, con la Lega, dopo la caduta del muro di Berlino. In tal modo è venuta meno qualsiasi distinzione tra la legittimazione dei deputati e quella dei senatori. Sotto questo profilo la riforma interviene in maniera decisa (anche se forse si poteva semplicemente abbinare l’elezione dei senatori a quella dei consigli regionali) affermando con chiarezza la natura di rappresentanza territoriale del Senato.

Non è invece venuta meno la natura verticistica dei partiti italiani. Per questo motivo non regge il parallelo col sistema britannico. Conservatori e laburisti hanno potuto sostituire la Tatcher, Cameron, Tony Blair e altri primi ministri perché il sistema maggioritario garantisce la rappresentanza territoriale. In altre parole, i deputati inglesi rispondono agli elettori dei loro collegi e non ai vertici dei loro partiti. Se quello inglese, come sostiene Abravanel, è un monocameralismo di fatto, allora va detto che l’unica vera camera rappresenta anche e soprattutto i territori (in virtù di quella concezione ascendente del potere tipica del sistema istituzionale britannico).

La tendenza verticistica e centralistica dei nostri partiti rende la situazione italiana molto diversa rispetto a quella inglese. Il che rende difficile considerare dei deputati nominati dal premier come un contrappeso all’azione del governo. D’altronde, il rafforzamento dell’esecutivo rappresenta la principale caratteristica di una riforma costituzionale che, sicuramente, andrebbe spiegata meglio.