Il federalismo brutale

Nel suo appello per il No  Silvio Berlusconi usa una parola che da qualche tempo non è più di moda: federalismo. Dice infatti che la proposta di nuova costituzione è da bocciare, essendo invece necessaria: “una vera riforma delle regioni nello spirito di un autentico federalismo”.

Dal lato sinistro della barricata, Massimo D’Alema dimostra di pensarla allo stesso modo, quando boccia una “riforma illogica e accentratrice”.

Non ci si poteva aspettare niente di diverso dai due protagonisti della breve stagione del federalismo italiano. Per quanto il politico pugliese ne abbia recentemente preso le distanze , la riforma del Titolo V approvata nel 2001 era infatti parte del progetto elaborato dalla Bicamerale D’Alema, mentre durante i governi Berlusconi, l’asse Tremonti-Lega spingeva il federalismo istituzionale in direzione del federalismo fiscale.

Nella visione di Giulio Tremonti il federalismo era considerato la soluzione agli sprechi della Pubblica amministrazione. Oggi, al contrario, nel federalismo viene individuata la causa degli stessi sprechi. La visione tremontiana, nella sua brutalità, si può riassumere infatti come segue: esclusi i servizi essenziali di competenza statale, ogni regione potrà spendere soltanto ciò che incassa dalle imposte versate dai suoi cittadini. Di conseguenza, o il settore pubblico si impegna a sviluppare l’economia locale o non potrà dare nessun servizio. Sempre di conseguenza, per avere servizi i cittadini dovrebbero scegliere con più attenzione i politici locali, dando così vita a un percorso di selezione virtuosa dal quale trarrebbe beneficio tutto il sistema Italia.

Di questo pensiero non sembra esserci traccia nella riforma su cui siamo chiamati a votare il 4 dicembre.

Uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del Sì, per esempio, è quello del diverso prezzo dei farmaci oncologici. Per quale motivo, si dice, un farmaco salvavita costa 10 al Nord e 100 al Sud? Con la riforma costerà ovunque allo stesso prezzo e, cosa ancora più importante, i nuovi farmaci verranno approvati nello stesso momento su tutto il territorio nazionale.

A questo argomento un federalista convinto potrebbe avanzare alcune obiezioni. Innanzitutto sui tempi di approvazione: non è detto che unificarli significhi abbreviarli. Se oggi ci sono delle regioni virtuose, che approvano un nuovo farmaco in pochi mesi, non si vede perché i loro cittadini (e anche tutti gli altri) debbano aspettare tempi statali che potrebbero anche essere più lunghi. Per quanto poi riguarda i costi, tornando all’impostazione di Tremonti, se al Sud i farmaci costano di più vuol dire che i politici del Sud sono meno capaci e bisogna sceglierne di migliori.

In definitiva, chi sostiene il federalismo non può sostenere questa riforma. Chi invece non si fida dei politici locali, e sopratutto della bontà delle scelte elettorali dei suoi concittadini, può ritenere preferibile votare Sì per dare più poteri al governo centrale.

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