L’idea di democrazia di Donald Trump

Quando chiede provocatoriamente se le persone che protestano contro di lui siano andate a votare Donald Trump esprime la propria idea di democrazia: chi vince governa, chi perde aspetta il prossimo turno. Si tratta di un’idea abbastanza diffusa, più o meno la stessa alla base della riforma costituzionale bocciata dal referendum del 4 dicembre scorso. In sintesi, per chi si ispira a questo modello, chi vince le elezioni ha la delega a rappresentare gli interessi di tutti i cittadini (compresi quelli che non hanno votato o hanno votato per qualcun altro). Al vincitore si chiede di agire per il bene comune e non per gli interessi dei suoi sostenitori (un altro aspetto del divieto di mandato imperativo), agli sconfitti di rispettare le decisioni del vincitore.

Il sistema funziona se maggioranza e minoranza condividono la stessa idea di bene comune. Entra invece in crisi quando si contrappongono due visioni radicalmente diverse di ciò che è giusto o sbagliato. In tal caso, come sta avvenendo oggi negli Stati Uniti, chi ha perso tende a non rispettare le decisioni di chi ha vinto, perché non crede nell’idea di bene comune che le anima (o perché è convinto che tale idea sia soltanto una scusa per portare avanti degli interessi privati, in questo caso si tratta però di aspetti patologici, che non rientrano nel discorso inerente la concezione della democrazia).

Cosa succede quando entrambe le parti sono – in assoluta buona fede – convinte di avere ragione?  Come detto sopra, Trump sostiene di aver ricevuto una delega che lo autorizza a curare gli interessi del popolo americano nella maniera che lui – in quanto vincitore di regolari elezioni – ritiene più opportuna. Si tratta dell’aggiornamento, in chiave democratica, della teoria sul potere assoluto elaborata da Thomas Hobbes nel XVII° Secolo. Per Hobbes il più forte comandava su tutti gli altri, le elezioni servono a capire chi è il più forte senza ricorrere a metodi di selezione ben più cruenti.

Gli avversari di Trump dicono invece che la delega non è assoluta ma limitata. Il potere del Presidente discende dalla Costituzione e deve rispettare i limiti fissati dalla Costituzione, compresi quelli che prevedono la tutela degli stranieri che arrivano regolarmente nel territorio americano. Si spiega così la decisione del giudice federale che ha sospeso il divieto di ingresso per i cittadini di sette Paesi arabi. Non solo, per qualcuno il Presidente degli Stati Uniti deve agire per la tutela dei diritti umani anche al di fuori della Nazione che l’ha eletto. Si spiegano così – almeno in teoria – alcune azioni militari intraprese dagli USA negli ultimi anni. Lo stesso sostegno alla globalizzazione può essere inteso come un modo per diffondere il benessere al di fuori dei confini nazionali.

Si può allora sostenere che l’ideale di democrazia di Trump, che vuole invece difendere esclusivamente i suoi concittadini, sia sotto il profilo militare che sotto quello economico, sia ormai superato? O ha ragione lui, quando sostiene che bisogni tornare a quando non era necessario occuparsi dei diritti umani nel resto del mondo, e perfino quelli delle minoranze interne erano visti come un ostacolo alla potenza americana?

impossibile dire chi abbia ragione. In questi casi l’unica soluzione possibile è quella di far parlare i fatti. Vedremo tra quattro anni se i cittadini americani saranno più felici e decideranno di rinnovare la fiducia all’attuale Presidente.