“Il popolo inglese crede di essere libero, ma si sbaglia di grosso; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del Parlamento; appena questi sono eletti, esso torna schiavo, non è più niente”. Questa celebre frase di Jean Jacques Rousseau potrebbe spiegare la decisione dell’Alta corte inglese che ha imposto il voto parlamentare sulla Brexit, riducendo in tal modo il valore del referendum tenuto nel giugno scorso a quello di un sondaggio. In termini tecnici, per i giudici il referendum sulla Brexit non aveva valore vincolante ma consultivo.
A tal proposito, bisogna tener presente come il principio cardine del sistema costituzionale britannico sia quello della sovranità parlamentare, non quello della sovranità popolare. Sotto il profilo teorico la decisione di coloro che sono stati definiti nemici del popolo pare pertanto ineccepibile.
Il parlamento inglese si è infatti evoluto nei secoli scorsi come un organo complesso, nel quale s’incontrano i tre poteri classici: quello del governo (potere esecutivo), quello dei rappresentati dei comuni – intesi come persone comuni e non come enti territoriali – che insieme ai membri dell’aristocrazia (anche se dai tempi di Tony Blair non si diventa più Lord per diritto di nascita ma per elezione) esercitano il potere legislativo e quello giudiziario (l’House of Lords aveva anche funzione di Corte di giustizia). Pertanto, dal punto di vista teorico, impedire al governo di agire senza il consenso del parlamento è un modo per rafforzare il potere degli elettori e non per diminuirlo. Tutto ciò sarebbe del tutto evidente se il Primo ministro rispondesse del suo operato alla Regina e non al suo partito.
Nel caso della Brexit il governo ha chiesto un parere direttamente agli elettori, parere ora all’attenzione del Parlamento. La domanda che in tanti si stanno facendo è dunque la seguente: potrà il Parlamento decidere in modo diverso, ossia votare per la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea?
Alla luce delle ragioni teoriche esposte nelle righe precedenti la risposta è sì, può farlo. Il parlamento inglese nasce infatti proprio per correggere gli errori di chi governa. A livello teorico poco cambia se a prendere una decisione che il parlamento considera sbagliata sia stato il re o il popolo. Non è dunque giuridicamente possibile obbligare i membri delle camere al rispetto dell’esito referendario.
Dal punto di vista politico il discorso è ovviamente diverso. Saranno gli equilibri interni al partito conservatore a stabilire se si possa o meno fare retromarcia sulla Brexit. A tal proposito, David Cameron sta probabilmente rimpiangendo il fatto di non aver prestato maggiore attenzione agli aspetti teorici della vicenda, essendosi dimesso in quanto considerava la Brexit ormai cosa fatta.
Il verdetto dall’Alta corte rende invece evidenti i legami tra teoria e prassi costituzionale. Legami che andrebbero tenuti presenti. In politica (e non solo), è infatti buona regola mantenere salda la connessione tra pensiero e azione.
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