Garanti e direttori

La vicenda romana dei 5Stelle – salvo clamorosi sviluppi al momento difficili da prevedere – sembra aver raggiunto una situazione di equilibrio. Virginia Raggi è ancora sindaca del Movimento, mentre il destino dell’assessora Muraro è nelle mani dei Pubblici ministeri (dovrebbe essere in quelle dei giudici, ma il neo-garantismo a 5Stelle non è ancora allineato con la Costituzione).

In aggiunta a quelle dei giorni scorsi  si possono fare alcune considerazioni a “bocce quasi ferme”, in merito all’impatto che questa vicenda ha avuto sulla vita del Movimento, in particolare sulle sue regole interne.

Vittorio Feltri sostiene che Beppe Grillo dovrebbe scendere in campo in maniera diretta, non limitandosi a fare da Garante ma prendendosi le responsabilità connesse alla guida di quello che, sondaggi alla mano, è il primo partito italiano.

La senatrice Barbara Lezzi ha invece rilanciato l’idea di allargare il direttorio nazionale. Non più 5 membri come oggi, ma 30 o 40, come aveva previsto di fare lo stesso Casaleggio. Di questo organismo allargato dovrebbero far parte non soltanto parlamentari ma anche sindaci e consiglieri regionali.

Le due questioni – quella del garante e quella del direttorio – sono intimamente connesse.

Se Grillo accettasse il suggerimento di Feltri il suo ruolo all’interno del Movimento non sarebbe più quello del garante ma quello del capo. La differenza tra le due figure è che il garante vigila dall’esterno sull’operato del Movimento, mentre il capo lo guida dall’interno.

Nel nostro ordinamento, ad esempio, la figura del garante è quella del Presidente della Repubblica, che vigila sull’operato del Presidente del Consiglio dei ministri, ma non interviene direttamente sull’operato del governo (il fatto che nella prassi recente ci siano state delle deviazioni da questo schema non cambia la forma di governo italiana, che è ancora quella parlamentare).

Attualmente Beppe Grillo ricopre questo ruolo di garanzia. Si comporta da padre del Movimento, che ogni tanto interviene per porre rimedio agli errori dei figli. Il caso romano è servito a mettere definitivamente in chiaro questo aspetto: dubito che Grillo abbia intenzione di fare qualcosa di diverso, come dubito che il Movimento sia abbastanza maturo da poter fare a meno della sua figura. 

Il direttorio invece si occupa di coordinare e dirigere l’azione del Movimento. I suoi membri si possono pertanto equiparare ai ministri. A tal proposito è chiaro che 5 ministri possono sembrare pochi, ma 30-40 sono sicuramente troppi. Se venisse accolta la proposta di ampliamento si verrebbero a formare delle articolazioni di vario genere all’interno del direttorio, e sarebbe ancora maggiore il rischio di una deriva correntizia del Movimento.

Inoltre, l’idea che a far parte di questo organismo debbano essere parlamentari, consiglieri regionali o sindaci, aumenta il rischio di conflitti d’interesse. In altre parole, se ogni membro del direttorio ha una sua carriera politica da difendere penserà probabilmente più a quella che al bene del gruppo. La vicenda romana ha infatti mostrato come, chi ha altro da pensare, tenda a sottovalutare alcuni elementi.

Sarebbe allora opportuno valutare l’opzione di rendere incompatibili gli incarichi elettivi con l’appartenenza al direttorio. In tal caso si avrebbe un organo (preferibilmente eletto dagli attivisti) di coordinamento e direzione, la cui autorità verrebbe rafforzata dall’assenza di conflitti d’interesse (così come l’autorità di Grillo deriva, in buona parte, dall’aver preventivamente rinunciato a ogni tipo di candidatura).